Ed eccoci alla fatidica dieta prenalatizia al termine della quale,
puntualmente, arrivo affamata irritabile mediamente smilza ed estremamente
piatta.
Infatti con mio sommo cruccio quando ingrasso, ingrasso sul culo,
quando dimagrisco, dimagrisco sulle tette.
Perché ostinarsi a fare la dieta? Non lo so. Non ha senso.
Intanto nessuno nella storia si è mai accorto di un mio
dimagrimento. Nessuno. Forse perché dura poco.
Infatti è nota la regola per cui ci si mettono tre mesi a perdere
5 chili e una settimana e recuperarli.
Nel periodo di affamamento poi la famiglia ti odia perché ti
disinteressi completamente alle loro necessità mangerecce, ovvero smetti di
preparare i pasti e loro finiscono per cibarsi di patatine, wurstel e maionese
in tubetti. E mentre si rimpinzano si lamentano, generando intense ondate di risentimento.
Eppure mi metto a dieta. E so perché.
Tutti gli sforzi, le rinunce, la sofferenza trovano la loro ragion
d’essere in quell’unico fatidico momento in cui salendo sulla bilancia (dopo
essermi tolta tutto il toglibile inclusa biancheria intima, forcine per
capelli, capsule dei denti), il mio peso come appare sul display è inferiore a
quello della settimana prima. Salto del pasto. Calo del peso. E’ una specie di
sfida olimpica. O di malattia mentale.
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